mercoledì 24 settembre 2008

Il genocidio del popolo boero

Spesso, nella storia, vi sono genocidi dimenticati o rimossi dalla memoria comune, ma non per questo non vi sono delle vittime innocenti. Questa mia affermazione è riferita alle atrocità commesse dalla comunità nera sudafricana nei confronti di quella dei boeri.
Ora cercherò di riassumere la storia del popolo boero in modo cronologico dalla perdita della sua libertà:
-1902; i boeri perdono la loro libertà
-1990; Nelson Mandela (terrorista comunista) viene rilasciato
-1994; tramite elezioni illegali il ANC (partito comunista) vince tramite elezioni illegali, e il NWB (movimento di resistenza boero) inizia la lotta per l'indipendenza del suo popolo.

A dieci anni dalla fine dell'Apartheid la persecuzione razziale in Sud Africa esiste ancora, ma si è capovolta, la praticano i neri nei confronti dei cittadini bianchi o boeri, i quali, con il partito marxista al potere, sono oggetto di una pulizia etnica oltremodo brutale. I morti ammazzati, bruciati vivi, segati a metà aumentano vertiginosamente ogni giorno. La solita storia insomma, se le vittime del genocidio sono di pelle nera (come nel caso del Darfur) per bloccarlo si mobilitano Usa, Onu e Ue, ma se le vittime sono bianche e dagli occhi chiari non gliele frega niente a nessuno, nessuno muove un dito per pretendere il riconoscimento dei loro diritti.


Dal 1° luglio l'assemblea nazionale ha fatto legge il "Firearm control bill", che annulla di fatto la prerogativa dei contadini boeri sul possesso di armi per autodifesa. Ormai in molti danno per scontato un "effetto Zimbabwe", un bis della pulizia etnica contro i bianchi condotta nell'ex Rhodesia dal dittatore Mugabe. Certo i bianchi in Sudafrica sono 3,5 milioni ma, anche in Zimbabwe cominciò così e, prima ancora, con i Tedeschi in Namibia. Chi può ha cominciato a scappare. Il rischio, quando morirà l'estremo parafulmine Nelson Mandela è che venga meno ogni freno e il genocidio contagi le città. Il problema è che i bianchi sudafricani non hanno una madrepatria che gli accoglierebbe compensandone i danni: vivendo lì da tre secoli e mezzo sono oramai dei nativi, quanto gli statunitensi in America.

Rudi Botes, 47 anni, rinvenuto con gli occhi cavati nella fattoria Genbade presso Bultonfontein, Adriana Van Der Riet, 86 anni, uccisa con 20 pugnalate in una fattoria nelle Rocklands, Martmaria Da Bruin, 18 anni, stuprata in un lago di sangue nel suo letto a Honeydew, Roelof Gottschalck, 34 anni, impiccato a Rustenburg. Hanno antichi nomi europei questi martiri del Sud Africa. Ma tutto questo non nasce dal nulla, anzi era prevedibile data la politica razzista intrapresa dal governo nero di Pretoria. Nel 2004 il premier Thabo Mbeki, a capo di un monocolore dell'African National Congress d'ispirazione comunista, ha varato un pacchetto di leggi per il "potenziamento economico dei neri" (Bee Laws). Si tratta di leggi che, nella sostanza, rimuovono il diritto inviolabile alla proprietà privata, cancellano ogni toponimo Afrikaaner, chiudono i loro centri culturali, scolastici, radiofonici, completando la rimozione di ogni segno di matrice europea del Programma per il rinascimento africano. Sulla china del genocidio si arriva però con il programma di redistribuzione della terra, che consente che qualunque nero accampi un diritto su un podere Afrikaaner, per quanto datato o velleitario, di appropriarsene tout court: immaginate cosa accade quando i tribunali o gli interessati non acconsentono. O quando gli imprenditori agricoli rifiutano le società con azionisti neri, imposte dalle Bee Laws.


E dire che i primi a rimetterci dall'estinzione dei Boeri sono giusto i neri. Il Sudafrica era il granaio del continente, grazie all'export sottocosto delle fattorie bianche. Molte delle 24 nazioni che ora soffrono la fame nella fascia subsahariana lo devono al crollo della produzione boera, che dava cibo a 130 milioni di africani. E persino in alcune zone del Sudafrica quest'anno è comparso lo spettro della fame.